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Kitchen in treno

Ma visto che le rivoluzioni mi piacciono, ora mi è venuta la smania di proseguire.
Ieri sono tornata dal mio primo viaggio di lavoro: due giorni e due notti a Prato senza aver potuto fare nemmeno una passeggiata per il centro visto che il tempo, inclemente, ha deciso di ostacolarmi con un piccolo diluvio nell’unico pomeriggio libero che avevo. È inquietante andare in una città e vederla solo dai finestrini di un taxi, ti fa venire l’odio per i taxi, vorresti che sparissero tutti e che in virtù di questo tutti fossero costretti ad andare a piedi - meraviglia. Camminare con lentezza.
Invece niente, tenebre e taxi fino a ieri, quando sono tornata indietro. C’era mio padre con me e io fin dalle nove del mattino morivo di sonno, visto che per l’ansia del lavoro la notte invece di dormire mi perdevo in ragionamenti sui commi del TUIR e frenetico controllo dei calcoli, roba che se mi avesse visto il mio ex compagno universitario Federico sarebbe caduto stecchito per terra dallo shock. Be’, i viaggi in treno sono seccanti e poiché all’andata mi ero annoiata terribilmente, visto che ho dimenticato fuori dalla valigia il libro che stavo leggendo, ho pensato bene di comprarne uno prima di avventurarmi sui terribili treni di Trenitalia (che sempre, sempre gentilmente ringrazia per la preferenza accordata).

Ebbene ho comprato "Kitchen" di Banana Yoshimoto. Ho sempre avuto la sensazione che tutti avessero letto Yoshimoto tranne me e non so più nemmeno io quante volte ho preso questo libretto in mano con l’intenzione di comprarlo, ma poi cambiavo idea: è così piccolo che spendendo due euro in più potevo assicurarmi una lettura più lunga (be’, ero all’università e il tempo aveva un’altra dimensione). Ma poiché ero curiosa, un giorno cominciai a leggerlo tra gli scaffali e lo trovai interessante, così stavo per comprarlo quando per l’ennesima volta qualcosa mi distolse all’ultimo momento e fallì anche questo tentativo. All’edicola della stazione di Prato, però, c’era ben poco che avesse potuto distogliermi, così ecco arrivato il suo momento.
In treno questo libro è perfetto. Se siete nella prima classe dell’eurostar, riesce quasi a farvi dimenticare quanto è scomodo il costoso sedile su cui siete seduti (che volete, gli schienali devono contenere l’invisibile gobba che tutti abbiamo sul dorso). È una storia molto triste, siamo d’accordo, ma anche profondamente umana e per quanto si possa essere lontani dalle esperienze della protagonista, è facile capirla perfettamente, ritrovare qualcosa di profondamente vissuto nelle sue emozioni e sentirsi terribilmente coinvolti dalle sue esperienze.
Un libro intimo e complice, con trovate splendide che funzionano perfettamente senza risultare forzate, delizioso, al punto che mi sono innervosita tantissimo quando sono dovuta scendere dal treno: devo leggere le ultime trenta pagine e ora vattelappesca quando potrò farlo.

4 Responses to “Kitchen in treno”

  1. Samuele Says:

    A me personalmente non è piaciuto molto. Anche per me però ha vissuto una storia simile alla tua: lo ricordo letto da Alessandra Casella nella trasmissione a “Tutto Volume” quando si trovava in testa alle classifiche di vendita. Mi è rimasto impresso, ho comprato diversi libri di Banana Yoshimoto, ma quello non riuscivo mai a trovarlo. Poi un giorno… e scoprire che non mi piaceva è stata una delusione atroce. Troppo strano, troppo campato per aria.

  2. Mia Says:

    Il romanzo mi è piaciuto, lo strano è proprio quello che rende affascinante. Ti lascia un po’ interdetto, ti aliena anche, ma a me è piaciuto. Forse c’era un gusto particolare a leggere una simile storia proprio perché ero in treno. Ma questo vale per il romanzo vero e proprio, voglio dire: il racconto finale l’ho trovato esasperante e per quanto possa completare in qualche modo il libro, avrei preferito qualcosa di diverso.

  3. Zizio Says:

    Ora capisco chi è che ha portato le nuvole … :D

  4. Mia Says:

    @ Zizio: Ma fammi il piacere, in Toscana piove sempre, sempre! Ma come sopravvivete? :-P

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