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La casa del sonno

La casa del sonno_1.jpegVi dico la verità, ho sempre esitato a comprare i libri di Jonathan Coe. Non sapevo cosa aspettarmi, che genere di scrittore fosse, al di là degli elogi sperticati e i premi vinti come da quarta di copertina. Poi mi decido e prendo "La famiglia Winshaw", romanzo che l’ha reso famoso, la parabola thatcheriana di incredibile mordente in cui sono finita mentre ero sull’eurostar Firenze - Milano. Ero così entusiasta dai suoi personaggi caustici, dalla storia imprevedibile, dallo stile scorrevole e appassionato che là per là gridai estasiata al genio. Fu il finale a raffreddarmi, volutamente esasperato, gotico.

Uno scrittore così bravo merita in ogni caso una seconda prova, ed ecco, tra gli acquisti delle vacanze, La casa del sonno. Anche questo è uno di quei libri che, lette fatalmente le prime due, tre pagine, letteralmente ti fagocitano, diventano una vera droga, un’ossessione. È uno di quei libri per cui cominci a pensare che valga la pena mettere la sveglia alle sei del mattino per avere tempo di leggere ancora qualche pagina prima di andare a lavoro. Poi però te lo porti dietro, perché alla prima occasione puoi sempre sbirciare qualche altra frase…

La storia è un fantasioso gioco d’incastri, nello stile de La famiglia Winshaw. È un’equazione dove tutto torna, ma che di razionale ha ben poco. Lontano mille miglia dalla fredda eleganza dell’altrettanto inglese McEwan, questo romanzo è popolato di personaggi inquieti e accattivanti, prima giovani studenti, poi trentacinquenni, tutti legati dal filo rosso del sonno: c’è chi soffre di narcolessia, chi dorme troppo, chi invece non dorme mai e chi vorrebbe essere in grado di non dormire… Senza forzature, la storia si snoda, in un’altalena tra presente e passato, nell’austera Ashdown, una vecchia dimora a venti metri dalla viva parete della scogliera, enorme, grigia e imponente. Prima dimora universitaria, dodici anni dopo inquietante clinica che cura i disturbi del sonno dominata dal dottor Gregory Dudden, figura bersaglio di una strepitosa ironia da parte di Coe.
Questo libro è divertente, fantasioso e ironico, ma a tratti commovente e trattandosi di Coe, è ovviamente fatale. Fatale come il fotogramma di una pellicola perduta, che appare in sogno e segna il destino di chi lo insegue. Fatale come l’incontro in cucina tra Sarah e Robert, fatale come la partecipazione a un ridicolo convegno da parte di un importante psichiatra, come le parole che pronuncia la piccola Ruby nell’ultima notte della Casa del sonno.
C’è il tutto il gusto caustico di Coe, c’è il suo amore per il cinema (Jonathan Coe è autore di due biografie: quella di Humphrey Bogart e quella di James Stewart), la sua mordente vivacità. E quando l’avrete finito, vi resterà l’amaro in bocca.

One Response to “La casa del sonno”

  1. Franciov Says:

    Ho un’opinione diversa sul finale de “La famiglia Winshaw”. Leggila sul mio blog e fammi sapere cosa ne pensi ;)

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