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Archive for Settembre, 2006

Il destino di un ombrello

Martedì, Settembre 26th, 2006

È cominciata la stagione delle piogge. Appena aperte le persiane, stamattina, mi sono sentita proiettata nel cuore più grigio dell’autunno. Acqua dappertutto che pioveva da un cielo mai stato così livido da mesi. Così si pone immediato un drammatico problema: procurarsi un ombrello.

Secondo la legge di Murphy, più l’ombrello è di valore, prima lo perdi. Se invece costa poco, state pur certi che avrà buone probabilità di finire nel mucchio degli ombrelli rotti e inutili che si accumulano in casa, che quando ti ostini a girarci rischi di accecare qualche povero disgraziato.
Visto che il mio bellissimo ombrello verde della passata stagione è rimasto nel multiplex di Andria (io insinuo che stavolta non sia stata colpa mia!) e che non avevo ombrelli sgangherati da riciclare per l’occasione, non ho potuto far altro che buttarmi sotto la pioggia, che potrà sembrare folle o eroico, ma che non è niente di tutto questo, visto che lavoro a cinquanta passi da dove abito…

Eppure ogni volta che compri un ombrello ti dici: "Starò attentissimo, non lo lascerò nei negozi, non lo dimenticherò in macchine altrui, non lo presterò, non lo porterò nei locali, non lo lascerò a sgocciolare in un angolino lontano, lo terrò sempre con me". E nonostante tanta cura, tanta attenzione, tanto attaccamento per questo piccolo, utile attrezzo, che volete, prima o poi il fato vi tende un tranello, vi schernisce, vi distoglie dal vostro importante proposito e alla fine, non c’è niente da fare, è proprio destino che vada smarrito da qualche parte. Ma alla fine mi chiedo, con tanti ombrelli perduti in ogni dove, c’è qualcuno che li trova? Chi sei, uomo fortunato? Io ti invidio.

La vergine e la puttana

Venerdì, Settembre 22nd, 2006

Nel mio paese resiste ancora un manipolo di donne assai poco emancipate che pensano di gloriarsi della propria illibatezza, o presunta tale, e di usarla come merito per erigersi, una volta tanto, al di sopra degli altri. Che definiscono puttane tutte le proprie amiche appena voltano le spalle, solo per giustificare agli occhi degli altri il fatto che la sera non ci sono uomini che ti vengono a cercare. O che invece ne fanno di tutti i colori, ma lo stesso fingono, con aria da santarelline ingenue ("pisello??? e cos’è?????"), scandalo e disgusto per ciò in cui si perdono le povere depravate che vivono intorno a loro.
Ce ne sono tantissime. E poi magari quando ti vedono fanno mille sorrisi e lasciano intendere che ti approvano, che è bello e giusto avere un ragazzo e magari farci l’amore. Ma loro no (a parole), loro sono serie e devono mantenersi illibate per il matrimonio. Qui non contemplo il caso di ragazze autenticamente religiose che senza essere delle bacchettone o condannare le scelte degli altri, decidono volontariamente, e non per sbandierarlo ai quattro venti, che vogliono aspettare fino al matrimonio prima di fare sesso con un uomo.
Purtroppo sono molto poche: tutte le altre sono figlie di una mentalità atavica che resiste nei decenni ai cambiamenti che pure avvengono nel resto del mondo.
Roba da medioevo, penserete voi, eppure è così. Vantarsi della propria verginità non è una cosa rara, e disprezzare chiunque invece abbia una condotta "sospetta" lo è altrettanto. Questa morale da casalinghe, da tristi donnette incapaci di occupare un ruolo nell’epoca moderna che non sia più rilevante di quello della carta da parati, è una cosa che irrita, e irrita ancora di più chi vorrebbe vivere in un posto - se da qualche parte esiste - dove vantarsi della propria serietà morale e ipocrita in campo sessuale (sono sempre quelle che non possono ma vorrebbero tanto) possa suscitare al più una grassa, gigantesca risata.

La casa del sonno

Domenica, Settembre 17th, 2006

La casa del sonno_1.jpegVi dico la verità, ho sempre esitato a comprare i libri di Jonathan Coe. Non sapevo cosa aspettarmi, che genere di scrittore fosse, al di là degli elogi sperticati e i premi vinti come da quarta di copertina. Poi mi decido e prendo "La famiglia Winshaw", romanzo che l’ha reso famoso, la parabola thatcheriana di incredibile mordente in cui sono finita mentre ero sull’eurostar Firenze - Milano. Ero così entusiasta dai suoi personaggi caustici, dalla storia imprevedibile, dallo stile scorrevole e appassionato che là per là gridai estasiata al genio. Fu il finale a raffreddarmi, volutamente esasperato, gotico.

Uno scrittore così bravo merita in ogni caso una seconda prova, ed ecco, tra gli acquisti delle vacanze, La casa del sonno. Anche questo è uno di quei libri che, lette fatalmente le prime due, tre pagine, letteralmente ti fagocitano, diventano una vera droga, un’ossessione. È uno di quei libri per cui cominci a pensare che valga la pena mettere la sveglia alle sei del mattino per avere tempo di leggere ancora qualche pagina prima di andare a lavoro. Poi però te lo porti dietro, perché alla prima occasione puoi sempre sbirciare qualche altra frase…

La storia è un fantasioso gioco d’incastri, nello stile de La famiglia Winshaw. È un’equazione dove tutto torna, ma che di razionale ha ben poco. Lontano mille miglia dalla fredda eleganza dell’altrettanto inglese McEwan, questo romanzo è popolato di personaggi inquieti e accattivanti, prima giovani studenti, poi trentacinquenni, tutti legati dal filo rosso del sonno: c’è chi soffre di narcolessia, chi dorme troppo, chi invece non dorme mai e chi vorrebbe essere in grado di non dormire… Senza forzature, la storia si snoda, in un’altalena tra presente e passato, nell’austera Ashdown, una vecchia dimora a venti metri dalla viva parete della scogliera, enorme, grigia e imponente. Prima dimora universitaria, dodici anni dopo inquietante clinica che cura i disturbi del sonno dominata dal dottor Gregory Dudden, figura bersaglio di una strepitosa ironia da parte di Coe.
Questo libro è divertente, fantasioso e ironico, ma a tratti commovente e trattandosi di Coe, è ovviamente fatale. Fatale come il fotogramma di una pellicola perduta, che appare in sogno e segna il destino di chi lo insegue. Fatale come l’incontro in cucina tra Sarah e Robert, fatale come la partecipazione a un ridicolo convegno da parte di un importante psichiatra, come le parole che pronuncia la piccola Ruby nell’ultima notte della Casa del sonno.
C’è il tutto il gusto caustico di Coe, c’è il suo amore per il cinema (Jonathan Coe è autore di due biografie: quella di Humphrey Bogart e quella di James Stewart), la sua mordente vivacità. E quando l’avrete finito, vi resterà l’amaro in bocca.

Potenza di Internet

Venerdì, Settembre 15th, 2006

logo_radio_dj.gif

Piove a dirotto, è tutto grigio e io sono spudoratamente felice.
E non potrei esserlo se ieri non avessi mezzo litigato con Giovy. E non solo perché è tremendamente bello fare la pace dopo qualche incomprensione (emozione tra l’altro che ho provato pochissime volte in vita mia, e che mi piace da morire). Non solo perché Giovy quando è un po’ scocciato è ancora più affascinante… C’è un altro motivo.
Se non fossi ammutolita per un mero capriccio, lui non avrebbe acceso la radio in macchina, scegliendo di sintonizzarsi su Radio Dj. Se non l’avesse fatto, alzando anche il volume proprio come segretamente desideravo, non avrei ascoltato il programma Tropical pizza e non avrei scoperto quali incredibili canzoni venivano trasmesse, molto lontane dagli standard commerciali che mi aspetto da una radio così globale.

Be’, mi sono innamorata al primo ascolto di quei brani e ho giurato a me stessa che avrei dovuto procurarmeli, ma come ricordare autori e titoli? Nonostante fossero stati snocciolati con meticolosità durante il programma, sapevo in partenza di non avere speranze. Ho afferrato qualche brandello del testo sperando in una fruttosa ricerca su Google, ma è stato tempo sprecato!

Stavo per gettare la spugna quando ho avuto un’illuminazione: perché non vedere sul sito della radio? Be’, è assolutamente fantastico: ci sono tutti i palinsesti di tutti i programmi andati in onda negli ultimi dieci giorni. Così ecco, su un piatto d’argento, quello che cercavo:

16. My Patch di Jim Noir
17. Deadweight di Beck
18. See The World di Gomez

E chi se l’aspettava? Complimenti vivissimi, Radio Dee Jay!

Occhio all’etichetta

Mercoledì, Settembre 13th, 2006

Ieri sono uscita e ho comprato un paio di slip nuovi da Intimissimi. Non c’era granché da scegliere, purtroppo non c’è niente quasi niente che sia sexy e solo occasionalmente (e coi saldi) si fa qualche buon affare.
Non c’è niente da fare, se volete essere non solo carine, ma letteralmente far saltare dal letto un uomo e volete farlo senza fare altro che mostrare un nuovo completino intimo, allora non potete proprio risparmiare (e su altri modi per farlo saltare dal letto, per carità, ciascuna si sbizzarrisca come vuole). Ma volete mettere un completino di Armani, Cavalli, D&G, La Perla?

"Avete una conottiera di pizzo?"
No, hanno solo canottierone della nonna, o roba dalla forma strana e dal tessuto spiacevole.

"Ma perché il fondo del reggiseno è panna se quello degli slip è bianco?"
Sì, è vero, sono diversi ma dev’essere per forza così, dice la commessa, e poi non si nota. No?

No, non mi faccio convincere, del resto questi reggiseni ti danno un’aria da adolescente acerba, ed è talmente lontano quest’effetto da quello che voglio ottenere che c’è poco da stare a pensare: bocciato in circa tre/quattro secondi. Prendo solo gli slip e me ne vado, e non mi lascia la (spiacevole) sensazione di averli pagati anche troppo per quello che valgono.

E non sbaglio: il pizzo sui fianchi prude, il resto del tessuto è fastidioso… Un record. Poi sfoglio il catalogo e le vedo, in bella mostra su una modella con pochi fianchi. Slip in seta, euro 12,90. In seta? Non ci credo neanche per un secondo. Do un’occhiata all’etichetta ed ecco l’inevitabile verità: 89% poliammide, il resto elastane. Alla faccia dell’onestà.

11 settembre

Lunedì, Settembre 11th, 2006

United93.jpegUn giorno gravido di ricordi orribili. Soprattutto fu fortissima l’incredulità, la sensazione di far parte di un unico mondo, gigantesco, ferito, e unito come da un familiare abbraccio di commozione. 

Ho visto qualche giorno fa, senza pensare che si avvicinava proprio un altro 11 settembre, il film che vi fa rivivere quel giorno del 2001, senza moralismi, senza trascendere né eccedere e che un po’ esorcizza ed elabora un lutto mondiale. Ne parlai tempo fa, consigliandolo a scatola chiusa sulla scia dell’entusiasmo di alcuni critici che stimo.

Non sbagliavo. United 93, di Paul Greengrass, è il più lucido e non politicizzato film sull’11 settembre. Non ci sono eroi, storie d’amore, ma tante donne e uomini proprio come li avrete incontrati sull’ultimo volo che avete preso, magari per andare in vacanza. E’ tragicamente reale, vi spezza il cuore, e vi pare di essere stati lì, proprio nella torre di controllo, incapaci di capire, e infine lì, proprio su quell’aereo, per morire e poi tornare inspiegabilmente a vivere.
Non solo una grande commemorazione delle vittime del volo che è riuscito a far fallire un dirottamento, salvando centinaia di vite umane, ma davvero un grande film.

Congratulazioni, Giovy!

Lunedì, Settembre 11th, 2006

È su Apogeonline il primo articolo di Giovy, un grande passo in avanti, da blogger a giornalista!
Sono tanto orgogliosa, non ditemi niente, perché è l’uomo che amo.

Non ho gli allori per un’ostentatissima e stucchevole celebrazione, ma se vuoi, stasera, sorpresa speciale per festeggiare ;-)

Vintage, che passione!

Venerdì, Settembre 8th, 2006

Da quando la moda ha fatto il suo ingresso in società, poche donne riescono a non essere soggiogate dai suoi dictat. E oggi, per essere très chic, non ci sono santi, bisogna indossare qualcosa di vintage. Lo dicono tutte le riviste di moda, e ormai qualsiasi donna che abbia velleità modaiole è corsa a saccheggiare il guardaroba della mamma o peggio, della nonna, alla ricerca di vecchie borse, vestitini anni ‘70, ma anche anni ‘50, cappelli riesumati… A Londra e New York, capitali del buon gusto, modelle piene di soldi e figlie di stilisti spulciano tra le bancarelle per comprare irresistibili scarpe a cinquanta centesimi, giacche retrò e vecchie maglie dalla forma alquanto strana.

Per quanto certi capi siano, secondo il mio gusto, a dir poco abominevoli (guardate qua o qua), non posso resistere al fascino di questo richiamo alla modernità fatto di pezzi del passato, per cui divento febbricitante all’idea di avere una giacca di velluto in stile antico, o un vestitino che ho visto da Max&Co, tutto colorato a righine, una cosa da urlo. Già me lo vedo addosso con degli stivaloni di meravigliosa pelle invecchiata… Anche se sarebbe un falso :-)
Per me è impossibile andare a comprare roba antica autentica, per due valide ragioni:
1) Non ci sono bancarelle vintage da queste parti, e le cose vecchie che vendono fanno accapponare la pelle;
2) Ma voi le mettereste delle scarpe che hanno cinquant’anni di vita? Se fossero davvero splendide, quelle di lusso dell’epoca e ottimamente conservate (come questo vestito di Ungaro)…

Il punto infatti è questo: letteralmente vintage vuol dire d’annata, e si riferisce a cose di epoca precedente ma di eccellente, impareggiabile qualità, tale da essere di gran lunga superiore a quella della stessa cosa fabbricata in epoca contemporanea. Come fanno cose d’annata di grande qualità, allora, a costare pochi centesimi? È qui che i conti non mi tornano.
Ma le imitazioni moderne le compro lo stesso :-)

The man who sold the world

Giovedì, Settembre 7th, 2006

Se ti fermi a mangiare (e a bere) in un posto che si chiama Il battello ebbro, non c’è niente di più opportuno, tornando a casa, di notte, col mare nero che giace immobile al tuo fianco, di respirare a pieni polmoni la chitarra morbosa di The Man who sold the world (quella dei Nirvana). Lasciarla espandersi nel piccolo spazio della macchina chiusa, sentire il cuore che si accorda col suo ritmo, liberarsi di qualsiasi pensiero mentre lei scivola via con te, battuta dopo battuta, e tu vorresti che fosse eterna perché è in perfetta sintonia con quel sinistro ammasso di pulsioni che soffocano dentro di te.

E anche ora, che il sole splende, la voce di Kurt Kobain risuona ancora più forte. Oh no, not me, we never lost control… Rimbaud e i Nirvana, niente di più inadatto può popolare la mente durante solitarie ore di lavoro.

You’re face to face With The Man Who Sold The World…

Lu rusciu de lu mare

Lunedì, Settembre 4th, 2006

E’ dura da digerire. Le vacanze sono finite, il mare turchino di Riva di Ugento troppo lontano per una nostalgica capatina, i pranzi ormai tornati un affare di famiglia nel porticato, la doccia incredibilmente noiosa (vuoi mettere la casalinga, comoda, enorme cabina di cristallo con l’emozionante cabinino formato extrasmilzo con le porticine da far-west e il pulsante da premere continuamente per far uscire l’acqua del campeggio?) e niente più pigri pomeriggi all’ombra dei pini, coccolati da lu rusciu de lu mare (il rumore del mare).
Bello il Salento, davvero bello. La grande meraviglia è il mare, ma dove mettiamo lo spirito della gente, la musica del posto (pizzica e tarante) e le belle città, tutte da scoprire? Non parlo di gastronomia perché vivendo anch’io in Puglia non sono rimasta sorpresa dai pomodori secchi, la ricotta forte (da noi detta “dura”), l’olio d’oliva, la ricotta (eccellente), le orecchiette (pasta tipica della Puglia) eccetera.

Ho pensato però di tracciare un breve bilancio della mia esperienza, a uso e consumo di chi in Salento ci vuole andare, con promossi e bocciati.

Promossi
1. Il campeggio Riva di Ugento.
Nonostante sia necessario fare pre-campeggio all’arrivo fino al 21 agosto circa, data la folla incredibile di equipaggi che si riversano in questi 32 ettari di fitta pineta e nonostante all’inizio ci si perda facilmente come nel labirinto di Shining, questo campeggio ha una qualità rara e apprezzabilissima: le piazzole sono isolate visivamente l’una dall’alta per mezzo di enormi e selvatiche siepi. La privacy è garantita, non ci sono altoparlanti con fastidiosi annunci al mattino, né animatori invadenti in spiaggia e si affaccia direttamente sulla spiaggia (ma il mare non lo vedete). La chicca poi, è che ogni sera c’è il cinema all’aperto, completamente gratuito, per passare un piacevole dopocena. Bar e ristorante a prezzi onestissimi, per non dire stracciati (al ristorante una fetta di torta al cioccolato casalinga, calda, squisita, costa solo 2,50 euro). Ultima chicca: mai visto un campeggio con meno formiche in vita mia.

2. La pizzica.
Per me, il ballo più bello e sensuale di tutti i tempi. Danza di corteggiamento ballata nelle piazze salentine e fino agli anni ‘60 il modo principale per conoscersi e dichiararsi tra i giovani. In campeggio ho preso due lezioni e ho imparato il passo base, ma è solo l’inizio! Chi volesse lasciarsi conquistare dalla magia di questa danza può seguire I Calanti, il gruppo in cui balla la bravissima Pamela che è stata mia insegnante. Un’esibizione dal vivo vi lascerà senza fiato!

3. “Le tre sorelle
Se siete a Gallipoli e volete provare un’autentica pizza napoletana, dovete andare in questo ristorante del centro storico: non è economico (una pizza sta sugli 8 euro e si paga pure il coperto), ma non potrete mai pentirvene… Mai mangiata una pizza più buona in tutta la mia vita! Da non perdere poi i dolci, dalla pastiera alla sfogliatella con la ricotta, tutto fatto in casa e di una bontà incredibile.

4. Le cartoline.
Compratele e speditele perché sono bellissime e perfettamente rispondenti al vero…

5. Lecce.
Sicuramente una tappa imperdibile. E’ quella che mi ha conquistato e che è stato difficile lasciare la notte, dopo ore e ore passate a girare per strade, piazze e bancarelle. Se volete un gelato andate da Natale, un’enorme pasticceria proprio vicino piazza Sant’Oronzo (girando per il centro la trovate per forza).

Bocciato
Il Cantico dei Cantici
Ecco, fate davvero attenzione. A Otranto i prezzi non sono così alla mano come in altri posti del Salento e se vi trovate nelle soffocanti stradine del centro, assediati da ciotole campagnole, collanine da 30 centesimi e siete appena usciti dalla bella visita al castello aragonese, per cui siete stanchi e vorreste fermarvi per un aperitivo… per carità, non vi fermate al Cantico dei Cantici. E’ un bar stile fighetto-colto con musica abominevole simil-house e un menu già molto impegnativo. Non c’è praticamente niente, oltre la bruschetta, che costi meno di 8-9 euro. Voi vi sedete ai tavolini all’aperto, guardate la fiumana di gente che passa e ordinate un bicchiere di vino bianco e un “tortino” di zucchine e gamberetti, pensando che arriverà (dato il prezzo) una buona primizia da chef. Ecco, disilludetevi subito, e specie se avete fame, quando arriva la cameriera siete ormai già passati alla rabbia. Davanti a voi, in un ridicolo contorno di qualche fiammifero di lattuga e carota sconditi, un minuscolo, insignificante grumo di indefinibili ortaggi fritti. Niente paste di alcun tipo a formare il tortino di cui parla il menu, e l’unico sapore che sentite è il fritto (più piccolo del palmo della mia mano). Infine, con lo stomaco inferocito e ancor più, le povere papille gustative offese, dovete anche pagare il conto: 32 euro per due persone, con ogni bicchiere di vino che costava 6 euro.

Be’, unico neo della vacanza è stato proprio questo… Per il resto, vicino Otranto c’è la Grotta dei Cervi, che non si può visitare (perché la presenza dell’uomo altererebbe il delicatissimo equilibrio climatico che ha conservato questi graffiti per 6000 anni), ma contiene il più importante complesso di graffiti dell’epoca neolitica di tutt’Europa. Nel castello, a Otranto, c’erano foto e riproduzioni di questi disegni, dei sogni dei nostri antenati… Uomini e donne che guardano il sole, le stelle, vanno a caccia… Simboli misteriosi, l’unità nella dualità, riti di iniziazione con stregoni, cervi, gli uomini intorno al fuoco, le impronte delle manine dei bambini… L’emozione più forte della vacanza.